di Riccardo Masini /
Alle volte mentre gioco prendo dei miei appunti mentali, su quel che vedo e provo. E alle volte questi appunti restano così radicati in me che poi non solo me li ricordo bene, ma mi viene anche da condividerli.
E’ il caso di questo momento della mia partita a 55 Days at Peking, il wargame sull’assalto alle legazioni internazionali durante la Rivolta dei Boxer, lo stesso episodio rievocato dal vecchio film con David Niven e Charlton Heston.
Ecco, guardate questa foto. Alcuni ci vedrebbero solo delle pedine di cartone che si muovono su di una mappa. Altri si fermerebbero solo ad analizzare le meccaniche, la gestione dei differenziali, la composizione dei modificatori chiedendosi se sono più o meno rispettosi della situazione storica.
Io ci vedevo una storia. Ci vedevo un gruppo di marinai italiani che si lanciano contro una massa inferocita di insorti cinesi, coperti dal fuoco di una mitragliatrice austroungarica. Ne ributtavano indietro molti, ma l’ultimo sparuto manipolo di rivoltosi resisteva, incredibilmente, e continuava a minacciare tutto quel fianco delle legazioni, impedendo ai due contingenti occidentali di sganciarsi e prestare aiuto ai loro commilitoni britannici e russi in difficoltà sull’altro lato del quartiere diplomatico.
E poi mi sono chiesto… Italiani… Austro-Ungarici… i nonni di quei soldati avevano combattuto gli uni contro gli altri durante le nostre Guerre d’indipendenza. I loro fratelli minori, forse anche i loro figli si sarebbero massacrati di lì a pochi anni sul Grappa, sull’Isonzo, sull’Altopiano di Asiago… quali e quante storie sono raccolte dietro i nostri giochi, sotto una pedina o tra un esagono e l’altro?
Dal punto di vista narrativo, è innegabile, vi è poco che possa competere con il caro vecchio hex and counter e la sua visualizzazione semplice, immediata, essenziale dei movimenti, dell’andamento degli scontri, delle caratteristiche del terreno. Lo avete tutto davanti agli occhi, si svolge tutto di fronte a voi, e anzi voi decidete dove e come dirigere la storia, in un racconto condiviso tra voi e il vostro avversario.
Certo, il wargame deve aiutarvi. La sua complessità deve essere usata solo per migliorare la storia, non appesantirla. Le regole devono guidarvi nel racconto, non bloccarlo a loro volta. Dovete vivere il gioco, non rimanere impantanati nel suo regolamento.
Alle volte questo lo dimentichiamo, cercando quella rappresentazione diretta e quasi ossessiva di ogni singolo dettaglio da vedere, manipolare, controllare… ma non era forse meglio l’approccio del wargame tradizionale, che lasciava queste cose a un paio di modificatori o meglio ancora a un singolo valore su di un counter e via?
Sì, è più difficile progettare un wargame semplice ma storicamente plausibile, piuttosto che uno iperdettagliato ma quasi ingiocabile. Però, va fatto, per non rendere il wargame un semplice foglio Excel in movimento, o peggio ancora in una prova di resistenza tra due “avvocati delle regole” in cui la competizione regna sovrana su tutto. Bisogna invece mantenerlo per quello che è: un grande e bellissimo racconto, in cui vincere è l’ultima delle preoccupazioni… anzi, solo una parte del racconto stesso, talvolta neanche quella più importante.
E adesso fatemi andare a vedere come posso rimediare a questo pasticcio… ah sì, ecco i soldati tedeschi che si lanciano in rinforzo, mentre i Marines americani accorrono per difendere le barricate davanti all’ambasciata francese…
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