di Riccardo Masini /

Una certa persona iscritta a questo gruppo e membro del suo Coordinamento, e con la sventura di essere mia moglie, sa bene che quasi ogni fine settimana io mi ritaglio almeno una mezzoretta da passare giù nella nostra cantina a riordinare/riesumare/ruotare diversi titoli della mia collezione per video, vendite, amici giocatori in visita, eventi pubblici o anche per il semplice piacere di guardarli e “farci un giro”.
Questa volta gli occhi mi sono caduti su uno dei miei primi acquisti in ambito non wargamistico, ma ludico più in generale, sia pur con una forte ambientazione storica: Roma, di Stefan Feld.
Ora, non voglio entrare nelle solite polemiche German/non German, di Feld o di Knizia o di chi so io, gioco storico o meno… però rivedere quella scatola mi ha suggerito un pensiero. Fino ad oggi sono sempre stato convinto che la grande dicotomia nel mondo del gioco tra eurogame ambientato e simulazione storica fosse relativamente semplice da individuare: nel primo le meccaniche dominano sull’ambientazione, nella seconda l’ambientazione determina le meccaniche.
Sono ancora di questo avviso, in linea generale, ma la proliferazione di giochi ibridi e il conseguente allargamento quantitativo e qualitativo di quella già di suo sfuggente categoria rendono l’intero problema molto meno scontato che in passato. Voglio dire, un wargame classico alla fine lo riconosciamo: con o senza esagoni, i suoi riferimenti storici rimangono puntuali e ben riconoscibili. Stessa cosa si può dire anche per gli ibridi che però rimangono ben ancorati sul versante simulativo: 300 ha riferimenti storici precisi, Cousin’s War ha riferimenti storici precisi, 13 Giorni ha riferimenti storici precisi, Breizh 1341 ha riferimenti storici precisi (anzi, precisissimi, vista la quantità e il dettaglio racchiuso in ciascuna carta!). Roma non ne ha, come non ne hanno Wallenstein e Shogun, The King Is Dead e Blitzkrieg!, Pandemic: Caduta di Roma e Tetrarchia… e però quanti ne sono usciti e ne stanno uscendo di questi eurogame ambientati, ma così ambientati che aprono anche all’ibridazione con la simulazione? In cui forse un riferimento preciso preciso non c’è… ma ti trovi i nomi giusti sulle mappe, sulle carte, sulle pedine… Insomma, quanto si stanno spingendo in avanti su questo versante?
Perché, diciamocelo, siamo tutti attentissimi e concentratissimi (io per primo!) sul trovare gli elementi “ibridi” in un COIN o in un card-driven politico alla Watergate… ma siamo altrettanti disposti a riconoscere i sempre più frequenti aspetti simulativi in quelli che definiamo, a volte con fare un po’ dispregiativo, “eurogame” o anche più sbrigativamente “German”?
Non è che, oltre ai wargame e alla simulazione che compiono i loro passi verso possibili convergenze, lo stesso stanno facendo anche gli eurogame e non ce ne siamo ancora del tutto accorti?
La faccenda è importante, perché ci spingerebbe ad abbandonare anche atteggiamenti un po’ accondiscendenti del tipo: “Ma sì, questo eurogame un po’ di ambientazione me la fa sentire, alla fine se me lo proponente non gli dico di no e mi diverto pure”, per arrivare a: “Beh, però qui un po’ di simulazione c’è, eccome…”. E quindi non a derubricare questi titoli come dei semplici “giochi” e basta, ma come supporti ludici dotati di una propria valida trattazione storica, di pari dignità pur se di diversa natura rispetto alle nostre amate simulazioni.
Un esercizio interessante, uno spunto di riflessione, un viaggio che non procede più in una sola direzione ma in due: l’un tipo di gioco verso l’altro. E il fatto che stia diventando sempre più difficile distinguere queste due direzioni forse non è neanche un problema… forse è una grande opportunità.
(Ti è piaciuto questo articolo? Commentiamolo insieme sul gruppo Facebook LudoStoria!)