di Massimiliano Malerba /
Un libro imperdibile per gli appassionati di storia antica (militare ma non solo) è il classico di Brizzi Il Guerriero l’Oplita il Legionario.
Particolarmente ispirante la sezione in cui l’autore evidenzia il diverso atteggiamento dei Romani nei confronti dell’arte della guerra e delle sue implicazioni religiose e morali.
Laddove i popoli orientali (anche Greci) propendevano per l’uso degli espedienti (non sempre -anzi, moralmente accettabili e degni di onore) per vincere le battaglie, in greco “stratègema” parola che ovviamente ha scaturito il termine italiano stratagemma, i Romani orientavano il loro approccio bellico alla “Fides”. Concetto che nella lingua latina è profondissimo e denota un atteggiamento propenso a evitare trucchi e inganni e a scontrarsi in campo aperto, diretto, sotto il sole, senza circonvenzioni o espedienti indegni di un esercito.
La stessa parola Fides è usata in radice nei termini “Foedera”, i patti sacri, o Fetiales, i sacerdoti protettori del Fas o precetto divino; per un comandante romano repubblicano (Scipio per dirne uno), usare stratagemmi equivaleva a uccidere la propria fides e dunque essere un traditore.
“Ca va sans dire” che tale atteggiamento ha portato i romani verso catastrofi ampiamente evitabili. Non che i romani non ricorressero ai trucchi, quando necessario, ma avrebbero dovuto passare secoli prima che il termine deponesse il suo significato socialmente e religiosamente negativo. Già un Cesare mostrava un approccio affatto diverso verso questi concetti.
Invito alla visione del bel WLOG dedicato all’arte peloponnesiana della Guerra.
(Ti è piaciuto questo articolo? Commentiamolo insieme sul gruppo Facebook LudoStoria!)