di Riccardo Masini /

Visto che nei prossimi mesi avremo una quantità semplicemente fuori scala di eventi LudoStoria che ci accompagnerà da qui fino a Play (e già stiamo lavorando sulla seconda metà dell’anno…), stavo portando in evidenza diversi titoli della mia collezione per provarli. (NdLudoStoria: l’articolo è stato scritto a Gennaio 2025… subito prima della sarabanda di eventi che ci hanno visti coinvolti nei mesi successivi!).
Uno di questi, fatto “girare” durante le scorse festività natalizie, era Beware the Ides of March di John Theissen.
JOHN THEISSEN: CHI ERA COSTUI?
Ora, chi sia questo autore può non essere noto a tutti, ma gli estimatori della Hollandspiele lo conoscono bene per i tanti suoi giochi presenti nel catalogo di questa prolifica e sperimentalissima casa produttrice. Solo che i giochi di John, a prima vista, tanto sperimentali non lo sembrano, visto che in genere si tratta di hex and counter belli e finiti, al massimo con l’aggiunta di qualche carta evento o qualche tabella particolare.
Sì, non hanno molti counter… o meglio, ne hanno proprio pochi per quello che vogliono essere: giochi operazionali, ossia che rappresentano intere campagne combattute su vasta scala. OK, c’è anche Lipsia che “tecnicamente” viene considerata una singola battaglia… ma le manovre sono state così ampie e articolate, che in realtà da sola ha le dimensioni di quelle che fino a un paio di anni prima sarebbero state tranquillamente definite “campagne”. Dove non ci può essere alcun dubbio è sulla sua serie di titoli dedicati alla Guerra Civile Americana, che vanno da Hood’s Last Gamble e More Aggressive Attitudes, ai titoli che utilizzano una versione “standardizzata” del suo regolamento come Mac and Lee o Our God Was My Shield. E poi, con un sistema diverso ma sempre ispirato alla stessa filosofia, Beware the Ides of March sulla guerra civile tra i cesaricidi e l’improbabile coppia Marco Antonio/Ottaviano, con l’espansione Crossing the Rubicon (il prequel tra Cesare e Pompeo) e Mark Anthony & Cleopatra (il sequel in cui l’improbabile coppia di cui sopra si prende a mazzate, Cleopatra si dà alla biologia dei rettili e Ottaviano diventa imper… ehm, PRINCEPS e primus inter pares a Roma).
Non tutti questi titoli sono eccelsi, sia chiaro, ma tutti mantengono almeno un buon livello di qualità e interesse, e soprattutto la loro “filosofia” suscita l’ammirazione di gente come la stessa Amabel Holland (e grazie, glielo ha pubblicato) e Cole Wehrle (non proprio l’ultimo arrivato). Vi metto i link ai loro filmati nei commenti, ma per voi che leggete questo post… di che filosofia stiamo parlando?
IL MINIMALISMO THEISSENIANO
Beh, come dicono i suoi fan (e io sono tra loro), il buon John crea giochi in cui la bassa complessità non va considerata come semplicità e basta, fine a sé stessa, bensì come ricerca dell’essenzialità della simulazione. La direzione di Theissen, forse un po’ “ostinata e contraria”, è in effetti la stessa degli autori giapponesi alla Nakaguro che come lui partono e restano nell’alveo del design classico del wargame. A differenza di questi, però, il nostro non introduce piccoli e iperefficaci espedienti di design del tutto originali, bensì adopera la riduzione dei pezzi in campo unita a strutture di regole molto ben calibrate proprio per aumentare la resa simulativa del gioco.
Mi spiego. Il minimalismo di Theissen si basa sul concetto che se puoi muovere pochi pezzi per pochi esagoni ogni turno, e lo stesso può fare l’avversario, ciascuna tua singola mossa diventa un concentrato pazzesco di riflessione strategica. Giocare a un titolo di Theissen significa vedere la dinamica strategica condensarsi in pochi, fondamentali punti di flessione delle variabili. Spostarsi di due esagoni in avanti o all’indietro, accettare o meno un combattimento, prendere una strada anziché un’altra può comportare (non necessariamente in quest’ordine): riformulare l’intera rete dei rifornimenti, esporsi a un contrattacco decisivo, aprire una nuova direttrice di avanzata, aumentare o diminuire l’equilibrio rischi/benefici della propria strategia…
ADELANTE, SANDBOX, CON JUICIO
Il gioco non funziona semprissimo, però. O meglio, non dialoga sempre bene con la nostra percezione (un po’ “traviata” anche da film e libri) di quegli eventi e con le aspettative che ne derivano. Proprio Beware the Ides of March è stato descritto come una sorta di “sandbox operazionale dell’antichità”, ossia un gioco che ti avrebbe permesso di sperimentare tante strategie diverse nella campagna che si svolse prima in Grecia e poi nelle zone dell’odierna Turchia e Medio Oriente. Che però si sarebbe potuta svolgere in altri punti del Mediterraneo, considerate anche le rivolte successive, le deviazioni in Spagna, il problema della Sicilia, i soliti regni e imperi limitrofi pronti ad approfittare delle lotte intestine a Roma… ed è tutto bello, senonché parliamo di manovre operazionali dell’antichità, quindi hai problemi continui con la pestilenza, non puoi scostarti troppo dalla costa, quando va bene vai a passo di marcia in zone in cui non ci sarà una strada se non uno o due secoli dopo… insomma, è un sandbox ma è a passo di lumaca.
E tuttavia, resta sempre un sandbox, perché a patto di mille rischi però puoi aprire altri fronti, inventarti manovre diverse, andare a raccogliere consenso combattendo in altri luoghi e contro altri nemici esterni… però lo fai un passo alla volta, come dettato dalle esigenze della guerra antica (aspetti della simulazione) e dalle scelte di Theissen (stile dell’autore).
Può non essere terribilmente divertente, ma dal punto di vista storico ci sta: del resto, anche i giochi tipo No Peace Without Spain! sulle guerre tra la fine del 1600 e i primi del 1700 sono principalmente fatti di assedi non terribilmente emozionanti come le rare battaglie campali… perché è così che andavano le guerre all’epoca!
CONCLUSIONI: SEMPLICE… MA NON PROPRIO
Andando a chiudere, lo stile di Theissen che ci fa capire una cosa: quando in un gioco vuoi ridurre la rappresentazione degli eventi all’essenziale, la semplicità delle regole non è un obiettivo a priori ma uno strumento per garantire quell’essenzialità. Sono giochi con poche regole non per accattivarsi più attenzione o per motivi di posizionamento commerciale, bensì per scelta di stile ludico-storiografico consapevole.
Questo fa tutta la differenza del mondo: essenziale, non credete?

 


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